Pappagallo - Galleria Luigi Caretto

Nota:
L’autore prende il nome da un articolo di approfondimento che lo storico d’arte Maximilian Friedlander gli dedicò nel 1948 e nel quale lo studioso raggruppò un primo numero di opere attorno ad una personalità di cui non si conosceva il nome, ma che risultava abbastanza chiara da un punto di vista stilistico. Il curioso soprannome scelto deriva dall’insistenza e dalla tipicità con la quale un certo numero di opere mostra la presenza di un pappagallo. Tuttavia, oggi è possibile assegnare all’artista un numero di opere più vario ed ampio, anche grazie alla recente scoperta di una Madonna col Bambino (senza pappagallo) firmata per esteso “Cornelis Bazelear Fecit” di indiscutibile chiarezza stilistica. Oltre a ciò, si è ipotizzato con ampia plausibilità che i pittori operanti attorno e sotto Bazelaer costituissero una nutrita bottega che, tra Anversa e Bruges, realizzava in stile unitario una serie di opere devozionali destinate in particolar modo al mercato internazionale. La pratica era diffusissima anche presso altre botteghe (Pieter Coeck, Joos van Cleve, etc) e sostanzialmente indica una concezione dell’opera d’arte come prodotto in due fasi, una prima teorica e pensata dal Maestro ed una seconda sovente realizzata dagli allievi. Nelle prove migliori, come questa, il Maestro del Pappagallo mostra uno stile delicato, di sapiente sintesi tra la tradizione bruggese -ancora arcaica- e le innovazioni di plasticismo e uso della luce che Pieter Coeck, Jan Gossaert e Quantyn Metsys stavano gradualmente introducendo nella pittura fiamminga di Anversa. L’incarnato perlaceo, l’intimo rapporto madre/figlio e i minuziosi dettagli delle chiome accentuano il raffinato tono devozionale e simbolico, a cui contribuisce anche il fondo scuro dal quale le figure emergono come in una sacra visione.